Le Courrier, 21 ottobre 2010
di Carlo Sommaruga, Consigliere nazionale, membro di una delegazione internazionale di osservatori.
Dal 18 ottobre 2010 a Diyarbakir in Turchia 151 donne ed uomini si trovano al banco d’accusa di una gigantesca, lussouosa e risplendente nuova sala di udienza di un palazzo di giustizia di provincia particolarmente sfasciato. Sono degli amministratori locali eletti ed in carica, come Osman Baydemir, il popolarissimo sindaco di Diyarbakir, degli ex sindaci o ex deputati, degli avvocati, dei difensori dei diritti dell’uomo, dei sindacalisti, delle femministe, dei funzionari, dei pensionati tra cui un militare, dei semplici militanti.
Donne o uomini, giovani od anziani, gli accusati sono delle cittadine e dei cittadini che si sono impegnati per il riconoscimento dei diritti del popolo kurdo e l’affermazione della sua identità culturale.
Molti di loro hanno già conosciuto la prigione, ed alcuni anche la tortura. Al loro fianco, più di 300 avvocati. Per lo più kurdi. Ma anche dei nomi famosi della difesa dei diritti umani di tutta la Turchia. Nel pubblico, le famiglie dei detenuti hanno ceduto il posto alle delegazioni straniere venute ad osservare lo svolgimento del processo e ad apportare la loro solidarietà a tutte coloro ed a tutti coloro che subiscono la repressione dello Stato turco.
Ci sono delle delegazioni dalla Svezia, dalla Germania, dall’Italia, dalla Gran Bretagna, dalla Svizzera. Per quanto riguarda la Svizzera, ho trovato al mio fianco dei rappresentanti di altre forze politiche di sinistra, della Schweizerisch-Kurdischen Gemeinschaft Basel, di ONG che gestiscono progetti di solidarietà, di anziani rifugiati e di semplici cittadini svizzeri preoccupati per il rispetto dei diritti umani.
Si tratta di un processo di massa, come non se ne sono più visti dal tempo delle purghe staliniane. Il più importante processo che abbia conosciuto la Turchia moderna, questo processo durerà delle settimane. Ma è soprattutto un processo politico che mira a rompere ogni forma di organizzazione della società civile kurda. L’obiettivo è di annientare da una parte le strutture del BDP, il “Partito della Pace e della Democrazia” – partito kurdo che ha rimpiazzato il DTP proibito da più di un anno, il quale a sua volta aveva rimpiazzato il DEHAP pure esso vietato – e dall’altra parte quelle dei movimenti sociali come quelli delle donne, dei lavoratori, della difesadei diritti umani, o ancora quello di sostegno alle famiglie dei detenuti o degli scomparsi. Questi 151 imputati, per la maggior parte detenuti da 18 mesi, non sono che una parte dei 1700 membri o simpatizzanti del BDP arrestati in seguito al massiccio successo del partito alle elezioni municipali del 29 marzo 2009. Il BDP aveva vinto le elezioni con percentuali tra il 65% ed l’ 80% nella regione kurda, ed il numero delle municipalità conquistate dal BDP era passato da 55 a 99.
Questo processo è una mostruosità giudiziaria. L’atto di accusa di più di 7.500 pagine, fondato su delle ricettazioni telefoniche illegali e su delle testimonianze segrete, è stato consegnato agli imputati ed agli avvocati solo sessanta giorni prima dell’udienza. Le regole della procedura non rispettano gli standard minimi della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU=EHRC) alla quale la Turchia ha peraltro aderito. Nonostante fosse stata inoltrata una richiesta fondata sulle disposizioni delle convenzioni internazionali alle quali pure la Turchia ha aderito, sulla CEDU-EHRC, e su una interpretazione conforme alle disposizioni di diritto interno, è stato rifiutato agli imputati di difendersi in lingua kurda. Essi vengono messi a tacere o interrotti ogni volta che intervengono in kurdo. Tuuto viene messo in opera affinché il processo raggiunga lo scopo atteso dal potere: una condanna per terrorismo di tutti i rappresentanti legittimamente eletti e dei quadri del popolo kurdo, mentre nessuno degli imputati ha mai incitato alla violenza né ha mai fatto uso della violenza, e non è stato ritrovato presso di loro nessuna arma o materiale di guerra.
Questo processo è pure una aberrazione politica. mentre il BDP, grazie ai suoi dirigenti, al suo gruppo parlamentare, ai suoi sindaci ed all’insieme dei militanti e delle associazioni affiliate, cerca di consolidare la società civile e lo spazio democratico con lo scopo di un dialogo con il governo al fine di uscire finalmente dalla logica dello scontro militare, il potere di Ankara tenta di chiudere gli spazi politici e di lasciare il popolo kurdo orfano di ogni direzione politica e sociale. Ciò non avrà che una sola conseguenza, quella di fare aumentare la collera della gioventù ed il risentimento di tutto un popolo, e di sospingere le forze vive del popolo verso la lotta armata. Orbene, questa logica è senza uscita, e carica di sofferenze sia per lo Stato turco che per il popolo kurdo. Ma politicamente il governo
potrà approfittare di questa guerriglia come pretesto per rifiutarsi di democratizzare la società turca e per rifiutre di dare ai Kurdi il diritto di vivere ed organizzarsi in pace.
Resta però ancora una possibilità per il governo turco per ridare una speranza alla pace e per restituire al popolo kurdo la sua dignità. Che il tribunale pronunci un “non luogo a procedere” per tutti i 151 imputati.
Carlo Sommaruga, Consigliere nazionale, membro di una delegazione internazionale di osservatori.
Le Courrier, 21 octobre 2010