La nostra presenza poco dopo (verso le 9,30) ha suscitato una dura reazione della polizia (abbigliata in tenuta antisommossa), che ci ha intimato di allontanarci, hanno abbassato le visiere degli elmetti e cominciato a spintonarci, a spingerci contro le transenne metalliche della strada, e, di fonte alla nostra resistenza, a stringerci ed ‘imbottigliarci’. Abbiamo risposto intonando, come ieri, “Bella Ciao”.
Stamane, come ieri mattina, ci siamo recati di fronte al Tribunale con il grande striscione colorato (“Liberi tutti” in italiano, kurdo, turco e inglese), c’era moltissima popolazione kurda, ed anche una folta presenza di giornalisti di quotidiani, televisioni, radio.
La nostra delegazione si è divisa in due gruppi: un gruppo è entrato nell’aula del tribunale, dove ha seguito direttamente lo svolgimento del processo; un altro gruppo è rimasto fuori, tra la gente; il presente comunicato si riferisce a tale secondo gruppo ed a quanto accaduto fuori del tribunale; un successivo comunicato esporrà dettagliatamente ciò che è successo dentro l’aula, qui anticipiamo solo che lo svolgimento odierno del processo ne fa una giornata di importanza ‘storica’.Il clima di fronte al tribunale era assai movimentato, con un forte spiegamento di polizia.
Poi, come ieri, è arrivato il blindato della polizia che portava al processo i detenuti imputati, ma con una novità: infatti ieri essi avevano fatto il saluto kurdo con le dita a “V” sporgendo le dita fuori dei piccolissimi finestrini dei blindati, e le foto di questo loro saluto erano state pubblicate sulla prima pagina del quotidiano kurdo “Günkük”, suscitando una forte reazione emotiva; oggi, per evitare che ciò si ripetesse, i finestrini erano chiusi!
Stamane, come ieri mattina, ci siamo recati di fronte al Tribunale con il grande striscione colorato (“Liberi tutti” in italiano, kurdo, turco e inglese), c’era moltissima popolazione kurda, ed anche una folta presenza di giornalisti di quotidiani, televisioni, radio.
La nostra delegazione si è divisa in due gruppi: un gruppo è entrato nell’aula del tribunale, dove ha seguito direttamente lo svolgimento del processo; un altro gruppo è rimasto fuori, tra la gente; il presente comunicato si riferisce a tale secondo gruppo ed a quanto accaduto fuori del tribunale; un successivo comunicato esporrà dettagliatamente ciò che è successo dentro l’aula, qui anticipiamo solo che lo svolgimento odierno del processo ne fa una giornata di importanza ‘storica’.Il clima di fronte al tribunale era assai movimentato, con un forte spiegamento di polizia.
Poi, come ieri, è arrivato il blindato della polizia che portava al processo i detenuti imputati, ma con una novità: infatti ieri essi avevano fatto il saluto kurdo con le dita a “V” sporgendo le dita fuori dei piccolissimi finestrini dei blindati, e le foto di questo loro saluto erano state pubblicate sulla prima pagina del quotidiano kurdo “Günkük”, suscitando una forte reazione emotiva; oggi, per evitare che ciò si ripetesse, i finestrini erano chiusi!
La nostra presenza poco dopo (verso le 9,30) ha suscitato una dura reazione della polizia (abbigliata in tenuta antisommossa), che ci ha intimato di allontanarci, hanno abbassato le visiere degli elmetti e cominciato a spintonarci, a spingerci contro le transenne metalliche della strada, e, di fonte alla nostra resistenza, a stringerci ed ‘imbottigliarci’. Abbiamo risposto intonando, come ieri, “Bella Ciao”.
Poi ci siamo trasferiti di fronte al Municipio, dove verso le 13 Antonio Olivieri ha letto in italiano un messaggio (Conferenza-Stampa) da parte della Delegazione, rivolto alla popolazione di Diyarbakir, e che è poi stato immediatamente letto in turco da un amico kurdo.
Poi ci siamo trasferiti di fronte al Municipio, dove verso le 13 Antonio Olivieri ha letto in italiano un messaggio (Conferenza-Stampa) da parte della Delegazione, rivolto alla popolazione di Diyarbakir, e che è poi stato immediatamente letto in turco da un amico kurdo.
Ecco qui ora il testo del messaggio (Conferenza-Stampa) di Antonio Olivieri appena menzionato:
Roj Baş Kurdistan!
Siamo qui per sostenere i vostri, e nostri, amici che sono in carcere da mesi. Sono sindaci, amministratori, dirigenti di associaziomi, semplici militanti. Sono donne e uomini che tutti i giorni hanno lavorato con il popolo, lo hanno ascoltato, hanno costruito insieme a loro i servizi essenziali – fognature, acquedotti, strade, centri sanitari - in citta’ e villaggi dove mancava tutto. Hanno praticato la democrazia dal basso.
E’ per questo che li hanno arrestati. E’ per questo che li tengono in carcere da 17 mesi. Questo progetto intimidatorio mirato a neutralizzare la societa’ civile kurda é cominciato prima delle elezioni amministartive del marzo 2009. Gıa’ durante la campagna elettorale si era verificata un’escalation di violenza e pressioni da parte dello stato turco. Sette persone sonmo morte, cinque nella sola Diyarbakır. Due settimane dopo il grande successo del partito kurdo DTP alle elezioni, precisamente il 14 aprile, è cominciata una campagna repressiva concretizzatasi in ondate di arresti dei membri del partito e della societa’ civile e infine con la chiusura del DTP stesso.
Vogliono ridurli al silenzio, vogliomo mettere loro il bavaglio, vogliono tenerli lontani da voi, dal loro popolo. L’accusa di terrorismo è una farsa, è un’ignobile bugia.
Questo governo ha una grande responsabilita’: ha costruito con una montagna di false accuse un processo politico contro la societa’ civile kurda.
Bisogna gridarlo forte a quest’Europa silente e affarista, pretendere che sia presente qui con i suoi rappresentanti, anche con i Suoi governi, oltre che con noi internazionalisti. Abbiamo consegnato agli avvocati della difesa ordini del giorno e comunicati di solidarieta’ da parte dei comuni e delle provincie italiane e questo materiale dovra’ far parte delgi atti del processo.
Questa municipalita’, il Comune di Diyarbakır dove stiamo a migliaia, è la casa del popolo, luogo d’incontro e di lotta, cosa impensabile altrove. Conservatela questa ricchezza: insegna molto anche a noi europei.
Tornando in Italia porteremo con noi la solidarieta’ e l’orgoglio del popolo kurdo, i colori e i fiori di questa terra meravigliosa, una terra che da 27 anni conosce solo guerra e massacri. E’ tempo di gridare: “Basta! Edi bese”. Ora è il tempo della pace: la dobbiamo fare, la vogliamo fare, per voi, per noi, per l’Europa, per il mondo intero.
Spas