DAL KURDISTAN, IL PAESE CHE NON C’E’, ESODO IMPOSTO E ASILO NEGATO, LA LINGUA TAGLIATA.
Le Associazioni che sottoscrivono questo
appello ai candidati e ai futuri eletti nel Parlamento della Repubblica
Italiana accompagnano da decenni, nelle loro pacifiche rivendicazioni,
la lotta di un popolo senza patria, cui non viene riconosciuto il
diritto alla sua lingua e alla sua storia: il popolo kurdo.
Un tema che non rientra nel dibattito
politico pre-elettorale, e neppure lo sfiora, ma che dovrà vedere
impegnati i futuri parlamentari in un serio lavoro di studio e
conoscenza di ciò che accade al di là del Mediterraneo; che non riguarda
solamente i Paesi della Primavera Araba, o l’annosa e grave questione
Palestinese, ma anche la “democratica” Turchia, sul cui territorio viene
sistematicamente negato il diritto di esistere ad una minoranza di
persone (i 20 milioni di cosiddetti “turchi della montagna”). Turchia
che se da una parte chiede ancora di entrare in Europa, dall’altra
aspira a diventare potenza regionale di primo piano, ergendosi a
paladina dei diritti dei palestinesi o dei siriani, mentre prosegue con
l’oppressione del popolo kurdo all’interno dei propri confini.
La comunità kurda in Italia è numerosa,
ma è difficile stabilire con esattezza il numero dei kurdi presenti in
Italia poiché questi non vengono registrati in quanto tali ma come
cittadini dei paesi di provenienza, vale a dire come turchi, iracheni,
iraniani o siriani. In Italia si calcola siano circa 6.000, concentrati
soprattutto in Emilia Romagna, Toscana e Lombardia. A Roma sono non più
di 500, per lo più richiedenti asilo e lavoratori.
La questione kurda è tra le più
censurate e dimenticate dai mezzi di informazione. Un popolo-nazione di
40 milioni di persone senza stato, che vive diviso tra l’Anatolia e la
Mesopotamia su quattro stati (Turchia, Iran, Iraq, Siria) che negano la
loro identità, la loro cultura, la loro lingua. 4mila villaggi
distrutti, durante la guerra negli anni ’90, oltre 120mila vittime,
milioni di sfollati interni e di profughi verso l’occidente. La
repressione nei confronti del popolo kurdo continua oggi sorda,
strisciante ma non per questo meno violenta. Al momento ci sono circa
10.000 persone in carcere tra parlamentari e amministratori eletti,
attivisti, sindacalisti, studenti, giornalisti, semplici cittadini e la
gran parte di loro è kurda.
La vita quotidiana del Medio Oriente è
dominata da numerosi conflitti che spesso appaiono incomprensibili agli
occhi occidentali. Lo stesso vale per la questione kurda, uno dei
conflitti più complessi e sanguinosi del Medio Oriente che a differenza
di altri non gode dell’attenzione dell’opinione pubblica. Questa
mancanza di conoscenza e di attenzione si traduce spesso in un’analisi
unilaterale e superficiale che non consente di trovare una soluzione.
Il rapporto diffuso in questi giorni
dal’Associazione turca per i diritti umani (IHD) indica in 21.107 le
violazioni accertate dei diritti nella regione kurda per l’anno 2012.
Nonostante il grande successo ottenuto dagli esponenti del movimento
kurdo alle elezioni del Parlamento turco del giugno 2011, permangono lo
stato di detenzione e i processi nei confronti di centinaia di esponenti
politici e amministratori locali kurdi.
Una campagna mondiale di raccolta firme
lanciata dall’Iniziativa Internazionale per la libertà di Öcalan –
leader incarcerato del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) – a
cui viene negato il permesso di incontrare i suoi avvocati da moltissimi
mesi, è attualmente in corso e sta mostrando come anche in Europa e in
molti Paesi di tutti i continenti i cittadini esprimano la loro simpatia
e il loro sostegno al leader kurdo in carcere in isolamento dal ’99,
figura chiave per l’avvio di un negoziato tra i rappresentanti del
popolo kurdo e il governo turco.
Inoltre oltre ottanta parlamentari
iracheni – kurdi, arabi, cristiani, sunniti, yezidi e sabei – hanno
lanciato una campagna di raccolta firme per chiedere la libertà di
Öcalan, mostrando di considerare la sua libertà e i negoziati con lui
una condizione per una soluzione pacifica della questione kurda. Le
firme verranno consegnate allo Stato turco, all´Unione Europea e ai
Paesi Arabi.
Interessi economici, militari e
finanziari che legano la Turchia e l’Unione Europea rallentano il
processo per una risoluzione pacifica della questione kurda. Si può
parlare di una “doppia coscienza” dell’Unione Europea? I diritti di 40
milioni di persone aspettano una risposta. Chiediamo di sottoscrivere
questo appello da amici della Turchia. L’appello è aperto nei confronti
dello sviluppo democratico del paese, ma non può chiudere gli occhi di
fronte a nessuna delle parti in gioco. Senza una soluzione della
questione kurda, che può realizzarsi solo se tutte le parti siederanno
al tavolo del negoziato, non ci sarà mai pace ai confini dell’Europa.
Da anni abbiamo relazioni e rapporti con
le comunità kurde in Italia e siamo sicuri della loro totale volontà di
perseguire un disegno di promozione sociale e proprio miglioramento
economico battendosi per la convivenza civile e pacifica fra kurdi e
turchi e perché possa essere raggiunta una soluzione equa e democratica
della questione kurda in Turchia.
Allo stesso Öcalan, leader del PKK,
imprigionato da oltre tredici anni in Turchia in condizioni che ne
mettono a rischio l’incolumità fisica, è stato riconosciuto, seppur dopo
il suo arresto e la sua uscita dall’Italia, il diritto all’asilo
politico.
Ha scritto di recente Abdullah Öcalan:
“Alla società turca offro una soluzione semplice. Chiediamo una nazione
democratica. Non siamo contrari né allo Stato unitario, né alla
repubblica. Accettiamo la repubblica, la sua struttura unitaria e il
laicismo, ma crediamo che debba essere ridefinita come uno Stato
democratico che rispetti i popoli, le culture e i diritti. Su questa
base i kurdi devono essere liberi di organizzarsi in modo tale da poter
vivere la propria lingua e cultura e da potersi sviluppare
economicamente ed ecologicamente. Kurdi, Turchi ed altre culture
potrebbero così vivere insieme in Turchia, sotto lo stesso tetto di una
nazione democratica. Ciò è possibile soltanto con una costituzione
democratica ed una struttura giuridica avanzata che garantisca la pace
in Kurdistan”. Tutto questo è praticato in Kurdistan, e si chiama
“autonomia democratica”, un autogoverno che può fungere da modello anche
per altri popoli del Medio Oriente e del mondo che vivono attualmente
situazioni di conflitto e di carenza di democrazia. Il confederalismo
democratico è una proposta di modello alternativo globale di società: si
può affermare che i kurdi non si limitano a una rivendicazione della
“propria” identità, ma propongono e sperimentano una concezione del
pluralismo identitario come fattore propulsivo della intera dinamica
socio-politica, come peraltro si va definendo anche nella regione kurda
in territorio siriano.
Chiediamo ai futuri parlamentari un
impegno concreto per il blocco dei rimpatri, il ritiro, da parte della
Turchia, delle espulsioni che hanno colpito gli italiani che si recano
nelle città kurde, la liberazione del leader kurdo Öcalan, una fattiva
collaborazione perché si creino occasioni di incontro e confronto sulla
questione kurda che parta della proposta di Abullah Öcalan di
confederalismo democratico.
Rete Kurdistan Italia; AZAD;
Senzaconfine – Roma; Comitato di solidarietà con il popolo del Kurdistan
– Sardegna; ASCE – Associazione Sarda Contro l’Emarginazione; Verso il
Kurdistan – Alessandria; Senza Paura – Genova