A cura dell'Ufficio d'Informazione del Kurdistan in Italia www.kurdistan.it (italiano)
www.kurdish-info.net (multilingue)
1. L'ESERCITO TURCO NON SI E’ FERMATO DURANTE IL CESSATE IL FUOCO DEL PKK
2. LE MADRI DELLA PACE OCCUPANO SEDI AKP A RISPOSTA DEL SILENZIO DEL GOVERNO SULLA FINE DEL CESSATE IL FUOCO DEL PKK
3. PROVOCAZIONE CON UNA BOMBA SCONGIURATA DALLA GENTE
4. OTRE UN CENTINAIO DI ONG HANNO SOLLECITATO IL PRIMO MINISTRO AD INVESTIGARE SULLE FOSSE COMUNI. PROF. FINCANCI: E’ UNA VERGOGNA APRIRE LE TOMBE CON LE SCAVATRICI
6. AUMENTANO LE INDAGINI E GLI ARRESTI CONTRO I GIORNALISTI KURDI
7. ARRESTATI 55 BAMBINI IN UNA SETTIMANA PER EMENDAMENTI DEL CODICE PENALE TURCO I TRIBUNALI MINORILI INVECE DEI TRIBUNALI PENALI.
9. VERGOGNOSO RECORD DELL'AKP: 196MILA PERSONE PROCESSATE
FLASH!!! FISSATA PER IL 12 GIUGNO DATA ELEZIONI POLITICHE
CULTURA: KURDISTAN TURCO, FIGLIE PERDUTE. di Barbara Antonelli
CULTURA: KURDISTAN TURCO, FIGLIE PERDUTE. di Barbara Antonelli
1. L'esercito turco non si è fermato durante il cessate il fuoco del PKK
02.03.2011 -DIYARBAKIR (DIHA) - Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) è stato sottoposto a repressione e detenzioni durante il cessate il fuoco unilaterale annunciato 7 mesi fa. Il bilancio dal 13 Agosto 2010 al 28 Febbraio 2011 redatto dall'agenzia Dicle News Agency (DIHA) ne fa una lettura cupa. Le cifre rivelano la triste realtà per quanto riguarda la risposta del governo. Durante il periodo del cessate il fuoco, sono 35 i membri del PKK che hanno perso la loro vita. Il numero dei detenuti ha raggiunto quota 2.031 mentre gli arresti, si tratta principalmente di esponenti politici e dirigenti o membri del Partito della Pace e della Democrazia (BDP), per un totale di 510 persone. Durante le operazioni militari ed i bombardamenti nella regione circa 15 civili hanno perso la vita. Inoltre, nello stesso periodo sono state effettuate dall'esercito turco 140 operazioni militari e 162 attacchi di artiglieria. Le richieste del popolo kurdo per estendere il cessate il fuoco e trasformarlo in permanente sono state respinte. Fra queste richieste c’è: ridurre la lo sbarramento elettorale, avviare negoziati con la parte kurde, porre fine alle operazioni militari e di contrasto della società civile, istruzione in madrelingua e il rilascio dei politici kurdi.
2. Madri della Pace occupano sedi AKP
02.03.2011 -DIYARBAKIR (DIHA) - Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) è stato sottoposto a repressione e detenzioni durante il cessate il fuoco unilaterale annunciato 7 mesi fa. Il bilancio dal 13 Agosto 2010 al 28 Febbraio 2011 redatto dall'agenzia Dicle News Agency (DIHA) ne fa una lettura cupa. Le cifre rivelano la triste realtà per quanto riguarda la risposta del governo. Durante il periodo del cessate il fuoco, sono 35 i membri del PKK che hanno perso la loro vita. Il numero dei detenuti ha raggiunto quota 2.031 mentre gli arresti, si tratta principalmente di esponenti politici e dirigenti o membri del Partito della Pace e della Democrazia (BDP), per un totale di 510 persone. Durante le operazioni militari ed i bombardamenti nella regione circa 15 civili hanno perso la vita. Inoltre, nello stesso periodo sono state effettuate dall'esercito turco 140 operazioni militari e 162 attacchi di artiglieria. Le richieste del popolo kurdo per estendere il cessate il fuoco e trasformarlo in permanente sono state respinte. Fra queste richieste c’è: ridurre la lo sbarramento elettorale, avviare negoziati con la parte kurde, porre fine alle operazioni militari e di contrasto della società civile, istruzione in madrelingua e il rilascio dei politici kurdi.
2. Madri della Pace occupano sedi AKP
a risposta del silenzio governativo sulla fine del cessate il fuoco del PKK
02.03.2011 - NEWSCENTRE (DIHA) – Le Madri della Pace ad Izmir ed Istanbul occupano gli edifici del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) in risposta al silenzio del governo sul cessate il fuoco del PKK, che era stato dichiarato come gesto di buona volontà per promuovere il processo di pace. Gli edifici di AKP di Esenler, Avcılar, Bagcılar, Zeytinburnu, Kucukcekmece Kartal, Sultanbeyli e Gaziosmanpasa a Istanbul sono stati occupati dalle Madri della Pace che hanno avviato un presidio, cosi come è stato fatto a Bornova, Karabağlar e Buca ad Izmir.
3. Provocazione con una bomba scongiurata dalla gente
3. Provocazione con una bomba scongiurata dalla gente
2 Marzo 2010 - Un attentatore sconosciuto, è stato fermato mentre tentava di lasciare una bomba nei pressi del centro commerciale Zagos a Yuksekova nel distretto di Hakkari. Una persona a Yuksekova è stata fermata dalla gente mentre tentava di piazzare una bomba. Un funzionario di polizia è rimasto ferito sul luogo. Era arrivato a seguito di una segnalazione. L'aggressore, che è stato salvato dal linciaggio dai membri del BDP, e una persona amica dello stesso sono stati posti sotto custodia. La tempistica del tentativo di provocazione con la bomba non poteva essere migliore coincidendo con la visita del presidente del BDP a Yuksekova prevista per l’indomani. La gente ha tentato di linciare l'attentatore, che possedeva una pistola, quando proprio la polizia è giunta immediatamente sul luogo. La gente ha preso a sassate la polizia mentre cercava di prendere l'attentatore. A quel punto la polizia ha sparato in aria e si è ritirata. Quando continuavano gli scontri tra la polizia e la gente, una persona sconosciuta ha rivendicato di essere amica dell'attentatore sparando sulla folla da un negozio. La polizia ha preso l'aggressore dal negozio mentre la gente si stava dirigendo verso di lui. Mentre l'attentatore e il suo amico venivano posti sotto custodia dalla polizia, un ragazzino è stato investito da un panzer mentre cercava di oltrepassare il blocco stradale con la sua bicicletta. Gravemente ferito il ragazzino è stato portato all'ospedale. La gente ha iniziato a raccogliersi nel centro cittadino, mentre la polizia si è ritirata dalla scena dove sono state inviate squadre speciali.
Fonte: http://dailymotion.virgilio.it/video/xhbuzy_yuksekova-gergin_news#from=embed
4. Otre un centinaio di ONG hanno sollecitato il Primo ministro ad investigare sulle fosse comuni
Fonte: http://dailymotion.virgilio.it/video/xhbuzy_yuksekova-gergin_news#from=embed
4. Otre un centinaio di ONG hanno sollecitato il Primo ministro ad investigare sulle fosse comuni
18/02/2011 - DIYARBAKIR (DIHA) – Centodue organizzazioni non governative di Diyarbakir hanno fatto appello al Primo ministro Recep Tayyip Erdoğan sollecitandolo ad aprire un'ichiesta sulle fosse comuni. Melek Tornak, portavoce delle organizzazioni, ha letto la dichiarazione congiunta delle ONG: “Secondo il rapporto della Associazione dei Diritti Umani (IHD), 171 corpi sono stati rinvenuti in 26 fosse e ci sono ancora 88 fosse comuni con 298 corpi, mentre altre fosse comuni sono ancora da rinvenire. Noi chiediamo urgentemente al Governo di aprire un'inchiesta sulle fosse comuni. L'utilizzo delle fosse comuni ha fatto parte della politica governativa di “lotta al terrorismo”, ma è chiaro che questa politica ha violato i diritti umani fondamentali e le leggi di guerra internazionali” ha detto Tornak.
5. Prof. Fincancı: E’ una vergogna aprire le tombe con le scavatrici
5. Prof. Fincancı: E’ una vergogna aprire le tombe con le scavatrici
10 Febbraio 2011 - Kurdish Info - Il presidente dell’associazione di medicina legale e della fondazione turca per i Diritti Umani (TIHV) Prof. Dr. Şebnem Korur Fincancı ha esortato ad evitare ulteriori traumi per i parenti degli scomparsi, e aprestare un’attenzione particolare nell’aprire le fosse comuni e le tombe. E’ una vergogna, ha dichiarato, fare uso delle scavatrici. Ci vorrebbe l’aiuto di archeologi, antropologi, esperti di medicina legale ed il coinvolgimento di uomini di legge, specialmente quando si ha a che fare con i delitti di Mutki e ci vorrebbe la presenza di osservatori indipendenti e di organizzazioni della società civile, soprattutto quando lo Stato è coinvolto in questi misfatti
E’ necessaria una prassi che porti rispetto verso i defunti. Deve essere fermata la distruzione delle tracce provocata dalle scavatrici ed i luoghi della sepoltura devono essere documentati come scene del crimine. Fincancı, ha ulteriormente chiarito: “ Se si da uso delle scavatrici, si distruggono le tracce dove sono avvenuti questi reati. Le scavatrici riducono tutto a poltiglia, al punto che non è più possibile poi fare delle analisi del DNA sui resti di ossa ritrovati. Inoltre, la posizione delle ossa sarebbe di grande importanza da un punto di vista legale per farci capire in che modo i corpi sono stati sepolti. Sinora mai un archeologo è stato portato su questi luoghi e non si è mai scavato con cura. I reperti dovrebbero essere documentati, fotografati, numerati e raccolti con sistematicità e messi in relazione tra di loro. I pubblici ministeri dovrebbero fare uso dei metodi più avanzati come quello “SLIKA” per poter indagare sui resti organici. Fincancı ha chiesto che vengono presi in considerazione altri ambiti quali l’antropologia e l’archeologia affinché si garantisca una messa in sicurezza delle tracce e un corretto procedimento. Inoltre, in crimini in cui si sospetta la presenza dello Stato, dovrebbero essere coinvolte organizzazioni della società civile. Dovrebbero esserci l’Associazione diritti umani (IHD) ed osservatori indipendenti. Fincancı ha ulteriormente dichiarato: “Queste indagini vanno assolutamente fatte. Veniamo a sapere dalla stampa che a Mutki sono stati trovati corpi legati gli uni con gli altri. Evidentemente c’è da notare molta negligenza nelle indagini. Ha dichiarato Fincancı che i documenti di avvenuta morte sono stati prodotti senza controllare i defunti, con evidente abuso di potere.
PER IL NUOVO DOSSIER KNK SULLE FOSSE COMUNI: http://www.uikionlus.com/pdf/fosse_comuni.pdf
6. Aumentano le indagini e gli arresti contro i giornalisti kurdi
E’ necessaria una prassi che porti rispetto verso i defunti. Deve essere fermata la distruzione delle tracce provocata dalle scavatrici ed i luoghi della sepoltura devono essere documentati come scene del crimine. Fincancı, ha ulteriormente chiarito: “ Se si da uso delle scavatrici, si distruggono le tracce dove sono avvenuti questi reati. Le scavatrici riducono tutto a poltiglia, al punto che non è più possibile poi fare delle analisi del DNA sui resti di ossa ritrovati. Inoltre, la posizione delle ossa sarebbe di grande importanza da un punto di vista legale per farci capire in che modo i corpi sono stati sepolti. Sinora mai un archeologo è stato portato su questi luoghi e non si è mai scavato con cura. I reperti dovrebbero essere documentati, fotografati, numerati e raccolti con sistematicità e messi in relazione tra di loro. I pubblici ministeri dovrebbero fare uso dei metodi più avanzati come quello “SLIKA” per poter indagare sui resti organici. Fincancı ha chiesto che vengono presi in considerazione altri ambiti quali l’antropologia e l’archeologia affinché si garantisca una messa in sicurezza delle tracce e un corretto procedimento. Inoltre, in crimini in cui si sospetta la presenza dello Stato, dovrebbero essere coinvolte organizzazioni della società civile. Dovrebbero esserci l’Associazione diritti umani (IHD) ed osservatori indipendenti. Fincancı ha ulteriormente dichiarato: “Queste indagini vanno assolutamente fatte. Veniamo a sapere dalla stampa che a Mutki sono stati trovati corpi legati gli uni con gli altri. Evidentemente c’è da notare molta negligenza nelle indagini. Ha dichiarato Fincancı che i documenti di avvenuta morte sono stati prodotti senza controllare i defunti, con evidente abuso di potere.
PER IL NUOVO DOSSIER KNK SULLE FOSSE COMUNI: http://www.uikionlus.com/pdf/fosse_comuni.pdf
6. Aumentano le indagini e gli arresti contro i giornalisti kurdi
19/02/2011 -NEWS CENTRE (DIHA) – Il giornalista della Dicle News Agency (DIHA), Abdullah Çetin, è stato portato dinanzi alla Corte per “aver svolto propaganda per una organizzazione illegale”, accusa basata sulle notizie che sono state pubblicate sul sito web della Agenzia Informativa Firat (ANF) Çetin è stato posto sotto custodia quando si trovava a dover coprire le notizie del funerale di Asiye Gündüz, uccisa durante uno scontro armato lo scorso anno nei pressi di Tatvan, distretto di Bitlis. Sequestrandogli le registrazioni video, il telefono cellulare e altri materiali collegati alle notizie, la polizia lo aveva rilasciato dopo averne raccolta la dichiarazione. La V Alta Corte penale di Diyarbakir ha chiesto cinque anni di prigione per il giornalista. Ancora, Emine Kutal della redazione di Azadiya Welat, quotidiano in lingua curda distribuito in Turchia, è stato condannato a 10 mesi di prigione per aver “fatto propaganda per una organizzazione illegale”. Era stato posto sotto custodia il 23 novembre 2008 mentre stava distibuendo il quotidiano a Menemen, un distretto di Izmir. (gü)
7. Vergognoso record dell'AKP: 196mila persone processate
7. Vergognoso record dell'AKP: 196mila persone processate
22/02/2011 - ANKARA (DIHA) – Il co-presidente del Partito della democrazia e della pace (BDP) Selahattin Demirtaş ha criticato il Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP) al potere. Demirtaş ha definito “un vergognoso record” quello di 196mila persone portate davanti a un tribunale, ben 53.193 persone in 8 anni. Riferendosi al “paese della libertà”- espressione usata dal Primo ministro, Recep Tayyip Erdoğan per definire la Turchia - Selahattin Demirtaş ha parlato di 83.000 persone condannate. “Potrete trovare un sacco di cose in questa fotografia tranne la libertà” ha continuato. “I paesi del Medio Oriente stanno ribollendo e ci stanno dando molti buoni esempi su come scacciare il cancro dell'oppressione per giungere alla libertà. Le relazioni del governo dell'AKP con questi paesi corre lungo il principio del “bue che dà del cornuto all'asino”. Erdoğan non può dire di aver criticato i dittatori di quei paesi. Al-Bashir è stato accolto come un re. Così pure Mahmoud Ahmedinejad e così via. Noi speriamo che queste rivolte possano servire da lezione per situazioni simili. Tale record di arresti e condanne ci mostra la forte oppressione perpetrata contro i nostri concittadini. Nessuno può garantirne la continuazione.” Egli ha inoltre sottolineato alcune altre situazioni verificatesi durante gli otto anni di amministrazione dell'AKP: “In questi stessi otto anni 4.289 donne sono state uccise dai loro parenti più stretti. Erano 66 unità nell'anno in cui l'AKP salì al potere. Si tratta di una semplice coincidenza? Oppure che dire dei molti uomini, soprattutto delle forze dell'ordine, che dopo aver violentato bambine di 12 anni sono stati assolti? Degli altri che hanno ottenuto uno sconto di pena per buona condotta, mentre un bambino è stato condannato a 17 anni di carcere per aver lanciato una pietra? Oppure del bambino di 13 anni ucciso con 12 proiettili in fronte casa e il fatto che il poliziotto che l'ha ucciso è stato rilasciato?”. Demirtaş infine ha ripresentato la richiesta congiunta della parte kurda a formare una “commissione per la verità” per investigare sui tanti casi sospetti avvenuti negli ultimi due decenni, incluso il periodo di governo dell'AKP.(gü)
8. Arrestati 55 bambini in una settimana per emendamenti del Codice penale turco
8. Arrestati 55 bambini in una settimana per emendamenti del Codice penale turco
22/02/2011 -DIYARBAKIR (DIHA) – In una settimana 55 bambini di 72 trattenuti, sono stati arrestati secondo un emendamento del Codiec Penale Turco (TMK). Le variazioni del TMK dovrebbero prevenire gli arresti di bambini ed evitare punizioni pesanti. Il presidente della Commissione minori dell'Associazione dei diritti umani (IHD), l'avvocato Keziban Yılmaz, ha sottolineato che gli emendamenti al TMK sono solo di facciata giacché non hanno conseguenze significative riguardo al trattenimento di minori sotto processo. “Finora i minori sono stati accusati di appartenere ad un'organizzazione illegale e potrebbero essere condannati a pene pesanti secondo gli articoli 220 comma 6 e 314 comma 2. Questi articoli permettono di portare i bambini trattenuti davanti alla Corte per gravi condotte. Il Governo aveva fatto molto rumore quando gli emendamenti presumibilmente a favore dei bambini detenuti erano stati promulgati. La procedura del sistema giudiziario ci dimostra ben altro” ha detto Yilmaz. Incolpando il Governo di creare un'illusione riguardo ai bambini detenuti, Yilmaz ha sottolineato che i menzionati articoli sono il reale problema e nessun cambimento è stato fatto in merito a questi. Ha inoltre aggiunto che, lasciando subire ai bambini processi come fossero degli adulti, non adempie a quanto previsto dalle convenzioni internazionali in merito ai diritti umani e ai diritti dei bambini già ratificate dalla Turchia.
9. Tribunali minorili invece dei Tribunali penali
9. Tribunali minorili invece dei Tribunali penali
L'avvocato Keziban Yılmaz ha dichiarato che gli emendamenti alla legge antiterrorismo (TMY) significano che i ragazzini ed i giovani che hanno partecipato a manifestazioni non devono essere processati con l'accusa di "crimini di terrorismo" per i reati che sarebbero stati commessi nel corso delle manifestazioni. Tuttavia, sono ancora accusati di essere membri di organizzazioni illegali per tutti gli altri tipi di crimini. L'avvocato Canan Atabay del Baro di Diyarbakır ha sottolineato che molti ragazzini sono citati in giudizio con l'accusa di lancio di Molotov, dato che questo reato non è stato rimosso dal campo di applicazione della pena dagli emendamenti al TMY. Mentre i bambini e i giovani arrestati sono stati processati davanti al Tribunale penale prima che gli emendamenti fossero approvati, ora sono sotto processo per le stesse ragioni presso i Tribunali per i Minorenni. Molte azioni di protesta sono state effettuate attorno al 15 Febbraio per ricordare il giorno quando il leader del fuori legge Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) Abdullah Ocalan è stato consegnato alla Turchia. Ocalan è detenuto sull'isola di Imrali (Mare di Marmara) sin da quel giorno del 1999. Nel corso delle manifestazioni di quest'anno, molti ragazzini sono stati posti sotto custodia a Istanbul, Diyarbakir, Mersin, Hakkari, Batman, Mersin, Urfa, Adana, Van, Siirt e Şırnak, tutte città a prevalenza kurda nel sud est della Turchia. Un totale di 55 bambini sono stati arrestati e imprigionati su decisione dei Tribunali Minorili ai sensi degli articoli 220/6 e 314/2 della TMY.
Amnesty International ha criticato le autorità turche Amnesty International ha lanciato una campagna per i ragazzini che sono stati posti sotto custodia ed arrestati per aver semplicemente partecipato ad una manifestazione dal 2006 fino ad oggi. Amnesty International ha sottolineato che migliaia di ragazzini sono stati soggetti ad azione giudiziaria. L'organizzazione ha ammesso che gli emendamenti fatti lo scorso anno sono stati apprezzati, ma sottolinea che come risultato non tutti i ragazzini sono stati rilasciati dalle prigioni. Come riferito da Fırat News Agency (ANF) Amnesty International ha esortato i funzionari a rispettare le norme internazionali sui diritti umani e la legge turca riguardante il sistema giudiziario per i minori. Le autorità turche non hanno adempiuto l'obbligo di una affidabile, consistente e efficace indagine riguardante il maltrattamento dei ragazzini arrestati durante la custodia e gli interrogatori.
10. FLASH!!! Fissata per il 12 giugno la data delle elezioni politiche
Istanbul, 25 feb. (TMNews) - Saranno il 12 giugno prossimo le elezioni politiche turche. Lo ha deciso la Commissione Affari Costituzionali della Tbmm, la Grande Assemblea Nazionale turca, con votazione all'unanimità.
11. CULTURA: Kurdistan turco, figlie perdute
In uno straordinario documentario la regista kurda Nezahat Gündogdu racconta la storia delle ragazze di Dersim e del processo di 'turchizzazione' che ha tentato di cancellare la loro identità
Amnesty International ha criticato le autorità turche Amnesty International ha lanciato una campagna per i ragazzini che sono stati posti sotto custodia ed arrestati per aver semplicemente partecipato ad una manifestazione dal 2006 fino ad oggi. Amnesty International ha sottolineato che migliaia di ragazzini sono stati soggetti ad azione giudiziaria. L'organizzazione ha ammesso che gli emendamenti fatti lo scorso anno sono stati apprezzati, ma sottolinea che come risultato non tutti i ragazzini sono stati rilasciati dalle prigioni. Come riferito da Fırat News Agency (ANF) Amnesty International ha esortato i funzionari a rispettare le norme internazionali sui diritti umani e la legge turca riguardante il sistema giudiziario per i minori. Le autorità turche non hanno adempiuto l'obbligo di una affidabile, consistente e efficace indagine riguardante il maltrattamento dei ragazzini arrestati durante la custodia e gli interrogatori.
10. FLASH!!! Fissata per il 12 giugno la data delle elezioni politiche
Istanbul, 25 feb. (TMNews) - Saranno il 12 giugno prossimo le elezioni politiche turche. Lo ha deciso la Commissione Affari Costituzionali della Tbmm, la Grande Assemblea Nazionale turca, con votazione all'unanimità.
11. CULTURA: Kurdistan turco, figlie perdute
In uno straordinario documentario la regista kurda Nezahat Gündogdu racconta la storia delle ragazze di Dersim e del processo di 'turchizzazione' che ha tentato di cancellare la loro identità
Di Barbara Antonelli
Una ciocca di capelli. È quello che le ragazze scomparse di Dersim hanno lasciato dietro di loro, alle loro madri, alle loro famiglie. Una ciocca di capelli che ricorda l’orrore delle operazioni militari turche lanciate tra il 1937-38 contro la città di Dersim, dove la maggioranza della popolazione era composta di kurdi aleviti.
Due di loro si rincontrano oltre 70 anni dopo, raccontano il trauma che hanno dovuto affrontare, la perdita, il distacco dalla propria casa, dal proprio villaggio, lo strappo dalle loro radici, il divieto di parlare kurdo. La rimozione del proprio passato attraverso quello che Kemal Atatürk rivendicò come un tentativo di “portare la civilizzazione”. Mostrato al festival Internazionale di Istanbul a aprile e approdato a Roma a metà dicembre nell’ambito di Hèviya Azadiye (Speranza di Libertà), il terzo Festival del cinema kurdo, rassegna promossa dall’associazione Europa Levante, il documentario Le ragazze scomparse di Dersim, ricostruisce attraverso il filo della narrazione, i tragici avvenimenti che sconvolsero la vallata del fiume Monzur: centinaia di fanciulle giovanissime, esiliate, consegnate alle famiglie dei soldati di alto rango per essere “turchizzate”.
Ne è autrice la documentarista Nezahat Gündoðdu, nata nella provincia di Erzican nel 1968, e cresciuta a Istanbul, rimasta nelle carceri turche per 6 anni a causa delle sue opinioni politiche, mentre era ancora iscritta alla facoltà di architettura della Tracia. È tornata libera nel 2001 e si è appassionata al cinema: ha impiegato oltre tre anni di ricerca, alla fine dei quali è riuscita a rintracciare 50 ragazze scomparse; di altre 70 ha ricostruito i nomi dei familiari. Altre centinaia rimangono un passato senza nome. In mano ai loro famigliari solo due ciocche di capelli, che è anche il sottotitolo del documentario della Gündogdu, e che rispecchia una tradizione di Dersim.
Sono state delle inchieste e dei reportage giornalistici nel 2008 a rivelare al pubblico turco questo tragico capitolo che la storia ufficiale ha cercato negli anni di cancellare. Nezahat Gündogdu, è partita dagli archivi per poi lasciare spazio alla ricerca sul campo, ha cercato le sopravvissute e le ha lasciate parlare. Nel documentario due storie si intrecciano e sovrappongono: quella raccontata in prima persona da due ragazzine che hanno sperimentato l’esilio e l’allontanamento e quella di due famiglie che ancora oggi cercano le loro ragazze scomparse. Huriye nel ’38 aveva 8 anni, viveva con suo zio: fu catturata mentre si nascondeva nel bosco e portata a Ovacik, poi a Elaziz: lì il primo incontro con un rasoio. Molte di loro raccontano di essere state rasate, poi portate a fare un bagno, presero loro la misura dei piedi, per trovare loro delle scarpe adatte. Figlie perdute, costrette a imparare il turco, a cui per anni fu vietato di parlare la loro lingua madre. Durante l’operazione molte ragazze subirono violenza fisica. A distanza di anni negli occhi delle ultrasettantenni cugine intervistate dalla regista si comprende quanto ancora sia difficile per loro raccontare e raccontarsi. Un incredibile percorso all’indietro per recuperare la propria identità. Anche perché le operazioni militari del 1937-38, sono proseguite sottoforma di repressione culturale fino agli anni ’90: una repressione che si è instillata nelle menti di chi è originario di quelle vallate e che ha generato altro silenzio.
Esaminare la storia di Dersim significa rivelare un tabù. Ecco perché il produttore Kazim Gündogan in un’intervista a Hurryet (Daily news and Economic Review) ha dichiarato che durante le ricerche per il film sono stati messi in guardia: “ci è stato detto che avremmo rischiato la vita e ci è stato fatto l’esempio di Hrant Dink” (il giornalista armeno assassinato nel 2007 a Istanbul davanti alla sede del suo giornale Agos). Ma i tempi cambiano, anche se a detta della stessa regista questo film “non sarebbe stato immaginabile solo qualche tempo fa. Quella generazione che ha vissuto eventi tragici a Dersim è stata messa sotto silenzio. Oggi i loro figli hanno cominciato a rivendicare i propri diritti. Aprire un confronto con la storia significa evitare nuovi disastri.” Durante la scorsa estate la Gündogan e suo marito hanno portato Rakel Dink, la moglie del giornalista Hrant Dink a Dersim insieme ad altri giornalisti e opinionisti turchi. Il documentario si è aggiudicato così un ruolo importante nel dibattito pubblico turco riguardante l’operazione militare, il massacro del 1938, anche se è difficile ancora oggi che la verità rimpiazzi la storia ufficiale turca. Dersim che in kurdo significa “porta d’agento” è l’antico nome dell’odierna provincia di Tunceli, “pugno di ferro”, cosi fu ribattezzata all’epoca: una delle provincie con la maggior perdita di popolazione, non solo kurdi aleviti (che in Turchia costituiscono la seconda comunità religiosa dopo i sunniti) ma anche armeni. Kemal Atatürk disse che “la questione di Dersim era la questione prioritaria della nostra politica interna”. “Un repellente ascesso”, lo definì. Tanto che nel 1936 lo Stato turco dichiarò lo stato di emergenza e chiese che gli abitanti della vallata consegnassero le armi: le rivolte alevite furono represse in bagni di sangue. Secondo i dati ufficiali almeno il 10% dell’intera popolazione di Dersim fu uccisa: otre 13.000 le vittime civili, 22.000 esiliati, e gli orfani furono sottoposti a rigide politiche di “turchizzazione” (i dati non ufficiali parlano però di numeri ben diversi). La sfida alla storia ufficiale turca è recentemente riapparsa anche nel libro pubblicato da Hasan Saltuk, proprietario della etichetta discografica Kalan, ricercatore e etnomusicologo autore di un nuovo testo sui massacri del 1938 di Dersim pubblicato nel 2010 dopo 9 anni di ricerche tra fotografie, documenti storici e interviste sul campo. Perché quello di Dersim rappresenta un trauma radicato nella coscienza kurda e nelle menti di chi è originario di quelle provincie, plasmate tra le montagne. Raffigura l’esilio per antonomasia. E ancora l’esilio è al centro anche del film della regista kurda Ayten Mutlu, un altro film interessante nella rassegna romana: esilio come destino interiore, fatto di passato perduto nel film “Zara”, anche se il suo approccio è tutt’altro che documentaristico. Alla regista Mutlu, che oggi vive in Svizzera, non interessano le storie personali ma l’approccio sperimentale, intimista, al vissuto del singolo. Nel suo film la simbologia è tutto: lo specchio, simbolo dell’addio al mondo nella religione alevita, la calce che rappresenta i confini che imprigionano uomini e donne, i militari di cui la regista mostra solo le gambe perché non “vuole lasciare il palcoscenico al militarismo turco” spiega, “perché i militari sono simbolo di violenza indipendentemente dalla divisa che indossano”. Dersim torna anche nel suo film: nell’immagine suggestiva e straziante di uomini impiccati, la regista fa riferimento ad una foto che esisterebbe realmente negli archivi turchi e che non è mai stata consegnata alla stampa; un ricordo delle rivolte alevite represse nel sangue, dei leader del movimento di liberazione di Dersim impiccati e sotterrati in un luogo sconosciuto; un omaggio ai capi della difesa del popolo e ad una storia ancora adombrata dalla versione ufficiale dei fatti. (21 febbraio 2011)
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Una ciocca di capelli. È quello che le ragazze scomparse di Dersim hanno lasciato dietro di loro, alle loro madri, alle loro famiglie. Una ciocca di capelli che ricorda l’orrore delle operazioni militari turche lanciate tra il 1937-38 contro la città di Dersim, dove la maggioranza della popolazione era composta di kurdi aleviti.
Due di loro si rincontrano oltre 70 anni dopo, raccontano il trauma che hanno dovuto affrontare, la perdita, il distacco dalla propria casa, dal proprio villaggio, lo strappo dalle loro radici, il divieto di parlare kurdo. La rimozione del proprio passato attraverso quello che Kemal Atatürk rivendicò come un tentativo di “portare la civilizzazione”. Mostrato al festival Internazionale di Istanbul a aprile e approdato a Roma a metà dicembre nell’ambito di Hèviya Azadiye (Speranza di Libertà), il terzo Festival del cinema kurdo, rassegna promossa dall’associazione Europa Levante, il documentario Le ragazze scomparse di Dersim, ricostruisce attraverso il filo della narrazione, i tragici avvenimenti che sconvolsero la vallata del fiume Monzur: centinaia di fanciulle giovanissime, esiliate, consegnate alle famiglie dei soldati di alto rango per essere “turchizzate”.
Ne è autrice la documentarista Nezahat Gündoðdu, nata nella provincia di Erzican nel 1968, e cresciuta a Istanbul, rimasta nelle carceri turche per 6 anni a causa delle sue opinioni politiche, mentre era ancora iscritta alla facoltà di architettura della Tracia. È tornata libera nel 2001 e si è appassionata al cinema: ha impiegato oltre tre anni di ricerca, alla fine dei quali è riuscita a rintracciare 50 ragazze scomparse; di altre 70 ha ricostruito i nomi dei familiari. Altre centinaia rimangono un passato senza nome. In mano ai loro famigliari solo due ciocche di capelli, che è anche il sottotitolo del documentario della Gündogdu, e che rispecchia una tradizione di Dersim.
Sono state delle inchieste e dei reportage giornalistici nel 2008 a rivelare al pubblico turco questo tragico capitolo che la storia ufficiale ha cercato negli anni di cancellare. Nezahat Gündogdu, è partita dagli archivi per poi lasciare spazio alla ricerca sul campo, ha cercato le sopravvissute e le ha lasciate parlare. Nel documentario due storie si intrecciano e sovrappongono: quella raccontata in prima persona da due ragazzine che hanno sperimentato l’esilio e l’allontanamento e quella di due famiglie che ancora oggi cercano le loro ragazze scomparse. Huriye nel ’38 aveva 8 anni, viveva con suo zio: fu catturata mentre si nascondeva nel bosco e portata a Ovacik, poi a Elaziz: lì il primo incontro con un rasoio. Molte di loro raccontano di essere state rasate, poi portate a fare un bagno, presero loro la misura dei piedi, per trovare loro delle scarpe adatte. Figlie perdute, costrette a imparare il turco, a cui per anni fu vietato di parlare la loro lingua madre. Durante l’operazione molte ragazze subirono violenza fisica. A distanza di anni negli occhi delle ultrasettantenni cugine intervistate dalla regista si comprende quanto ancora sia difficile per loro raccontare e raccontarsi. Un incredibile percorso all’indietro per recuperare la propria identità. Anche perché le operazioni militari del 1937-38, sono proseguite sottoforma di repressione culturale fino agli anni ’90: una repressione che si è instillata nelle menti di chi è originario di quelle vallate e che ha generato altro silenzio.
Esaminare la storia di Dersim significa rivelare un tabù. Ecco perché il produttore Kazim Gündogan in un’intervista a Hurryet (Daily news and Economic Review) ha dichiarato che durante le ricerche per il film sono stati messi in guardia: “ci è stato detto che avremmo rischiato la vita e ci è stato fatto l’esempio di Hrant Dink” (il giornalista armeno assassinato nel 2007 a Istanbul davanti alla sede del suo giornale Agos). Ma i tempi cambiano, anche se a detta della stessa regista questo film “non sarebbe stato immaginabile solo qualche tempo fa. Quella generazione che ha vissuto eventi tragici a Dersim è stata messa sotto silenzio. Oggi i loro figli hanno cominciato a rivendicare i propri diritti. Aprire un confronto con la storia significa evitare nuovi disastri.” Durante la scorsa estate la Gündogan e suo marito hanno portato Rakel Dink, la moglie del giornalista Hrant Dink a Dersim insieme ad altri giornalisti e opinionisti turchi. Il documentario si è aggiudicato così un ruolo importante nel dibattito pubblico turco riguardante l’operazione militare, il massacro del 1938, anche se è difficile ancora oggi che la verità rimpiazzi la storia ufficiale turca. Dersim che in kurdo significa “porta d’agento” è l’antico nome dell’odierna provincia di Tunceli, “pugno di ferro”, cosi fu ribattezzata all’epoca: una delle provincie con la maggior perdita di popolazione, non solo kurdi aleviti (che in Turchia costituiscono la seconda comunità religiosa dopo i sunniti) ma anche armeni. Kemal Atatürk disse che “la questione di Dersim era la questione prioritaria della nostra politica interna”. “Un repellente ascesso”, lo definì. Tanto che nel 1936 lo Stato turco dichiarò lo stato di emergenza e chiese che gli abitanti della vallata consegnassero le armi: le rivolte alevite furono represse in bagni di sangue. Secondo i dati ufficiali almeno il 10% dell’intera popolazione di Dersim fu uccisa: otre 13.000 le vittime civili, 22.000 esiliati, e gli orfani furono sottoposti a rigide politiche di “turchizzazione” (i dati non ufficiali parlano però di numeri ben diversi). La sfida alla storia ufficiale turca è recentemente riapparsa anche nel libro pubblicato da Hasan Saltuk, proprietario della etichetta discografica Kalan, ricercatore e etnomusicologo autore di un nuovo testo sui massacri del 1938 di Dersim pubblicato nel 2010 dopo 9 anni di ricerche tra fotografie, documenti storici e interviste sul campo. Perché quello di Dersim rappresenta un trauma radicato nella coscienza kurda e nelle menti di chi è originario di quelle provincie, plasmate tra le montagne. Raffigura l’esilio per antonomasia. E ancora l’esilio è al centro anche del film della regista kurda Ayten Mutlu, un altro film interessante nella rassegna romana: esilio come destino interiore, fatto di passato perduto nel film “Zara”, anche se il suo approccio è tutt’altro che documentaristico. Alla regista Mutlu, che oggi vive in Svizzera, non interessano le storie personali ma l’approccio sperimentale, intimista, al vissuto del singolo. Nel suo film la simbologia è tutto: lo specchio, simbolo dell’addio al mondo nella religione alevita, la calce che rappresenta i confini che imprigionano uomini e donne, i militari di cui la regista mostra solo le gambe perché non “vuole lasciare il palcoscenico al militarismo turco” spiega, “perché i militari sono simbolo di violenza indipendentemente dalla divisa che indossano”. Dersim torna anche nel suo film: nell’immagine suggestiva e straziante di uomini impiccati, la regista fa riferimento ad una foto che esisterebbe realmente negli archivi turchi e che non è mai stata consegnata alla stampa; un ricordo delle rivolte alevite represse nel sangue, dei leader del movimento di liberazione di Dersim impiccati e sotterrati in un luogo sconosciuto; un omaggio ai capi della difesa del popolo e ad una storia ancora adombrata dalla versione ufficiale dei fatti. (21 febbraio 2011)
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