giovedì 14 febbraio 2013

Appello ai candidati 2013 - la questione kurda

DAL KURDISTAN, IL PAESE CHE NON C’E’, ESODO IMPOSTO E ASILO NEGATO, LA LINGUA TAGLIATA.
 Le Associazioni che sottoscrivono questo appello ai candidati e ai futuri eletti nel Parlamento della Repubblica Italiana accompagnano da decenni, nelle loro pacifiche rivendicazioni, la lotta di un popolo senza patria, cui non viene riconosciuto il diritto alla sua lingua e alla sua storia: il popolo kurdo.
Un tema che non rientra nel dibattito politico pre-elettorale, e neppure lo sfiora, ma che dovrà vedere impegnati i futuri parlamentari in un serio lavoro di studio e conoscenza di ciò che accade al di là del Mediterraneo; che non riguarda solamente i Paesi della Primavera Araba, o l’annosa e grave questione Palestinese, ma anche la “democratica” Turchia, sul cui territorio viene sistematicamente negato il diritto di esistere ad una minoranza di persone (i 20 milioni di cosiddetti “turchi della montagna”). Turchia che se da una parte chiede ancora di entrare in Europa, dall’altra aspira a diventare potenza regionale di primo piano, ergendosi a paladina dei diritti dei palestinesi o dei siriani, mentre prosegue con l’oppressione del popolo kurdo all’interno dei propri confini.
La comunità kurda in Italia è numerosa, ma è difficile stabilire con esattezza il numero dei kurdi presenti in Italia poiché questi non vengono registrati in quanto tali ma come cittadini dei paesi di provenienza, vale a dire come turchi, iracheni, iraniani o siriani. In Italia si calcola siano circa 6.000, concentrati soprattutto in Emilia Romagna, Toscana e Lombardia. A Roma sono non più di 500, per lo più richiedenti asilo e lavoratori.

La questione kurda è tra le più censurate e dimenticate dai mezzi di informazione. Un popolo-nazione di 40 milioni di persone senza stato, che vive diviso tra l’Anatolia e la Mesopotamia su quattro stati (Turchia, Iran, Iraq, Siria) che negano la loro identità, la loro cultura, la loro lingua. 4mila villaggi distrutti, durante la guerra negli anni ’90, oltre 120mila vittime, milioni di sfollati interni e di profughi verso l’occidente. La repressione nei confronti del popolo kurdo continua oggi sorda, strisciante ma non per questo meno violenta. Al momento ci sono circa 10.000 persone in carcere tra parlamentari e amministratori eletti, attivisti, sindacalisti, studenti, giornalisti, semplici cittadini e la gran parte di loro è kurda.
La vita quotidiana del Medio Oriente è dominata da numerosi conflitti che spesso appaiono incomprensibili agli occhi occidentali. Lo stesso vale per la questione kurda, uno dei conflitti più complessi e sanguinosi del Medio Oriente che a differenza di altri non gode dell’attenzione dell’opinione pubblica. Questa mancanza di conoscenza e di attenzione si traduce spesso in un’analisi unilaterale e superficiale che non consente di trovare una soluzione.
Il rapporto diffuso in questi giorni dal’Associazione turca per i diritti umani (IHD) indica in 21.107 le violazioni accertate dei diritti nella regione kurda per l’anno 2012. Nonostante il grande successo ottenuto dagli esponenti del movimento kurdo alle elezioni del Parlamento turco del giugno 2011, permangono lo stato di detenzione e i processi nei confronti di centinaia di esponenti politici e amministratori locali kurdi.
Una campagna mondiale di raccolta firme lanciata dall’Iniziativa Internazionale per la libertà di Öcalan – leader incarcerato del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) – a cui viene negato il permesso di incontrare i suoi avvocati da moltissimi mesi, è attualmente in corso e sta mostrando come anche in Europa e in molti Paesi di tutti i continenti i cittadini esprimano la loro simpatia e il loro sostegno al leader kurdo in carcere in isolamento dal ’99, figura chiave per l’avvio di un negoziato tra i rappresentanti del popolo kurdo e il governo turco.
Inoltre oltre ottanta parlamentari iracheni – kurdi, arabi, cristiani, sunniti, yezidi e sabei – hanno lanciato una campagna di raccolta firme per chiedere la libertà di Öcalan, mostrando di considerare la sua libertà e i negoziati con lui una condizione per una soluzione pacifica della questione kurda. Le firme verranno consegnate allo Stato turco, all´Unione Europea e ai Paesi Arabi.
Interessi economici, militari e finanziari che legano la Turchia e l’Unione Europea rallentano il processo per una risoluzione pacifica della questione kurda. Si può parlare di una “doppia coscienza” dell’Unione Europea? I diritti di 40 milioni di persone aspettano una risposta. Chiediamo di sottoscrivere questo appello da amici della Turchia. L’appello è aperto nei confronti dello sviluppo democratico del paese, ma non può chiudere gli occhi di fronte a nessuna delle parti in gioco. Senza una soluzione della questione kurda, che può realizzarsi solo se tutte le parti siederanno al tavolo del negoziato, non ci sarà mai pace ai confini dell’Europa.
Da anni abbiamo relazioni e rapporti con le comunità kurde in Italia e siamo sicuri della loro totale volontà di perseguire un disegno di promozione sociale e proprio miglioramento economico battendosi per la convivenza civile e pacifica fra kurdi e turchi e perché possa essere raggiunta una soluzione equa e democratica della questione kurda in Turchia.
Allo stesso Öcalan, leader del PKK, imprigionato da oltre tredici anni in Turchia in condizioni che ne mettono a rischio l’incolumità fisica, è stato riconosciuto, seppur dopo il suo arresto e la sua uscita dall’Italia, il diritto all’asilo politico.
Ha scritto di recente Abdullah Öcalan: “Alla società turca offro una soluzione semplice. Chiediamo una nazione democratica. Non siamo contrari né allo Stato unitario, né alla repubblica. Accettiamo la repubblica, la sua struttura unitaria e il laicismo, ma crediamo che debba essere ridefinita come uno Stato democratico che rispetti i popoli, le culture e i diritti. Su questa base i kurdi devono essere liberi di organizzarsi in modo tale da poter vivere la propria lingua e cultura e da potersi sviluppare economicamente ed ecologicamente. Kurdi, Turchi ed altre culture potrebbero così vivere insieme in Turchia, sotto lo stesso tetto di una nazione democratica. Ciò è possibile soltanto con una costituzione democratica ed una struttura giuridica avanzata che garantisca la pace in Kurdistan”. Tutto questo è praticato in Kurdistan, e si chiama “autonomia democratica”, un autogoverno che può fungere da modello anche per altri popoli del Medio Oriente e del mondo che vivono attualmente situazioni di conflitto e di carenza di democrazia. Il confederalismo democratico è una proposta di modello alternativo globale di società: si può affermare che i kurdi non si limitano a una rivendicazione della “propria” identità, ma propongono e sperimentano una concezione del pluralismo identitario come fattore propulsivo della intera dinamica socio-politica, come peraltro si va definendo anche nella regione kurda in territorio siriano.
Chiediamo ai futuri parlamentari un impegno concreto per il blocco dei rimpatri, il ritiro, da parte della Turchia, delle espulsioni che hanno colpito gli italiani che si recano nelle città kurde, la liberazione del leader kurdo Öcalan, una fattiva collaborazione perché si creino occasioni di incontro e confronto sulla questione kurda che parta della proposta di Abullah Öcalan di confederalismo democratico.
Rete Kurdistan Italia; AZAD; Senzaconfine – Roma; Comitato di solidarietà con il popolo del Kurdistan – Sardegna; ASCE – Associazione Sarda Contro l’Emarginazione; Verso il Kurdistan – Alessandria; Senza Paura – Genova